Giuseppe Gianella

Antonio Balbiani 1877

"Giuseppe Gianella giungeva a Cadenabbia, di fortune scarsissimo, ricco di pertinace volontà, di spirito intraprenditore. Egli prese la direzione di un meschino albergo e nessuno allora avrebbe pensato che quell'umile casa si sarebbe tramutata più tardi nel giocondo Belle Vue. Attivo, coraggioso, di giuste vedute, fiducioso nelle proprie forze, onesto negli affari, benevolo con gli inferiori, nobile coi grandi, egli seppe cattivarsi la simpatia dei ricchi Inglesi che trassero ogni anno più numerosi a quella riviera. Gli abitatori di Tremezzo ricordano con gratitudine come egli sia stato uno dei promotori e propugnatori della strada carreggiabile che ora finalmente Cadenabbia congiunge a Menaggio, per la quale fece altresì generose oblazioni: come per la sua opera già da più anni la Cadenabbia vanta un ufficio telegrafico. Ora l'egregio Ticinese dorme nel camposanto di Griante, dove gli fu posto un monumento, ma a lungo durerà la sua memoria in quella felice contrada ove visse sì operosa e sì onorata la vita. Se delizioso riesce nelle ore estive il passaggio sotto i fronzuti platani del viale della Cadenabbia, non meno gradita è la ricreazione che ad ogni giovedì sera, nell'estate ed autunno, ci offre la brava banda musicale di Bellagio, inviata dall'albergo a rallegrare questo eden, tanto caro agli stranieri, con ben eseguiti pezzi delle opere celebrate. Se poi aggiungete un bel sereno sopra il capo con una bella luna che naviga come candida vela, davanti lo specchio rilucente del lago solcato da barchette affollate, un qualche gruppo di foresette che allegramente improvvisano una festa da ballo in mezzo alla strada, io credo che in nessun altro luogo si possa trovare dove meglio passare un paio d'ore beate".

Augusto Giacosa nel suo libro Sulle rive del Lario scrive:

"Perché l'Hotel Belle Vue a Cadenabbia è un'istituzione, come Villa d'Este a Cernobbio, come l'Hotel Volta a Como. Per le sue origini, per la sua storia, è qualcosa di più di un albergo, è un monumento che l'artista eresse a sé stesso con il lavoro di molti anni: un artista modesto e geniale che seppe elevarsi colle forze del proprio ingegno e colla perseveranza dei propositi tanto che quel palazzo sembrò sorgere per incanto, un artista che con la sua vita dimostrò come volere possa significare potere: Giuseppe Gianella".

" Andiamo alla Cà dei Nabbia a berne un bicchiere" dicevano all'inizio del 1800 i barcaioli che approdavano in questa insenatura riparata per sostarvi o ripararsi dalle intemperie. Qui sorgeva una vecchia e umile osteria chiamata "Cà de la Nabbia" dal terreno ad essa retrostante, ora annesso al parco di villa Carlotta. In un bel giorno festivo di maggio o settembre, chissà, capitò da quelle parti un giovane che si era permesso il lusso (veramente straordinario per lui) di fare un giro sul Lario. Era un garzone di cucina presso una trattoria di Como ed il proprietario, assieme al permesso della gita, gli aveva dato i mezzi per poterla compiere come premio della sua buona condotta. Il ragazzo scese alla Nabbia. Forse anch'egli bevve un bicchiere del vino tanto celebrato dai barcaioli, ma certamente non si fermò a considerare se quel vino era davvero buono, tanto era rimasto colpito dalla bellezza gloriosa e folgorante del luogo che in quel giorno di maggio o settembre doveva essere al massimo splendore in un trionfo di colori e profumi ineguagliabili. Il ragazzo si chiamava Giuseppe Gianella, Ticinese per nascita. Tornato a Como, Gianella non poteva togliersi dalla mente quell'osteria in riva al porto. Si convinse che a quel luogo fosse legato il suo destino e la sua fortuna; quella riviera era troppo bella perché fosse lasciata alla mercé dei soli barcaioli che non sapevano apprezzarla. Decise di parlarne ad un suo caro amico, un padre per lui, che faceva il capomastro a Como e che l'avrebbe certamente aiutato a realizzare il suo sogno: acquistare e trasformare quella locanda in un albergo per viaggiatori e turisti. Messo al corrente del progetto, Camanni, il capomastro, decise di visitare il posto, gli piacque e, conoscendo le capacità di Giuseppe Gianella, finanziò l'impresa. La vecchia osteria in riva al porto fu acquistata e trasformata in albergo. Era l'anno 1801. In breve tempo l'albergo prosperò e s'ingrandì inglobando le case Gianzini e Brentano. Illustri clienti affluirono, la sua fama si diffuse rapidamente in tutto il mondo e Cadenabbia divenne luogo di delizia per quanti vennero a soggiornarvi. Augusto Giacosa, nel 1956 scrive: " Il Cav. Fedele (discendente di Gianella) ci mostra un vecchio album dove i forestieri di passaggio solevano apporre le loro firme e scrivere le loro impressioni. L'album ha valore di documento storico. In lui si firmano ben tre Imperatori. Sfogliamo il vecchio quadernetto ingiallito che l'ottimo direttore conserva come reliquia nella cassaforte. Nell'anno 1839 leggiamo: Victoire Alexandrine d'Agleterre et des Indes. La Regina Vittoria conosceva e sapeva apprezzare i migliori cantucci d'Italia; non fa quindi meraviglia ritrovare un suo autografo nel libro dei forestieri di un vecchio albergo di Cadenabbia. Ma quanti ricordi saltano fuori dalla cassaforte. C'è la fotografia di un vecchio venerando racchiusa in una cornice di legno scolpita a fronde di platano. E' H. W. Longfellow, il gentile poeta americano. La famiglia volle farne dono all'Albergo dove il Grande veniva ad ispirarsi.