L'Albergo

Nell'edizione datata 1817 del Viaggio pel lago di Como Giambattista Giovio, con lo pseudonimo di Poliante Lariano scrive:

"Notissimo è l'Albergo della Cadenabbia, che altri Brentani di fresco eressero con felice evento e per lucro loro e per la comodità dei passeggeri. Ivi più volte si ridussero nel verno a passarvi qualche settimana i Reali Arciduchi, venendo da Milano, ed è di moda da qualche inglese vi passi le intere mesate. Come quasi a metà del Lario v'approdano i nocchieri e vi riprendano lena. Quindi diensi che il nome venisse da Ca di naulo.

Lo storico Cesare Cantù nella sua opera Grande Illustrazione del Lombardo Veneto scrive:

" Noi ci ricordiamo quando altro albergo non v'era che quello della Cadenabbia, Cà di Naulo o di stazione, e solevano pernottarvi i burchi, che partiti da Como colla breva pomeridiana, qui giungevano a sera per ripigliare poi al domani il viaggio, e portare a Colico o alla riva di Chiavenna i passeggeri e il proverbiale corriere di Lindò. Viaggiare disagiatissimo, ma dove la lunghezza e lo scomodo avvicinavano gli animi e facevano tanti amici di quanti erano i passeggeri. Qui si scendeva a gustare un boccone e un bicchiere; poi sul tardo compariva l'albergatore, e invece del libro della polizia, porgeva un Album, sul quale si notavano i nomi e molte scipitezze e qualche bella galanteria. Non è molto che potemmo sfogliare quello scartabello, che bisunto e saccocciato, venne in possesso d'un nostro conoscente, e ci piacque rileggervi la poesia di una signora, di cui la figlia torna spesso in questi paraggi circondata da belle figlie già da marito; poesia che sente il tono di 50 anni fa, eppur non manca di sentimento, e che ci occorse di contrapporre ad un'altra d'un nostro romantico. Ascoltò la poesia un uomo maturo che da trent'anni ritorna a questi miti autunni, e scrollando il capo esclamò: "Versi non basteran mai a ritrar tutto il bello di questo paradiso".

Antonio Balbiani nel suo libro: Como, il suo lago, le sue valli e le sue ville descritte e illustrate, edito nel 1877 così descrive l'arrivo a Cadenabbia

"Al passeggero, che dal battello a vapore osserva la riviera di Tremezzina quando si diffonde per l'aria il solito grido <Cadenabbia, signori!> s'affaccia l'elegante e graziosa prospettiva dell'Hotel Belle Vue. E' pur bella quella spiaggia, con quella foresta d'allori, di tassi, d'oleandri, di magnolie, di rododendri, di camelie e di tante altre piante sempre verdi, chiamata il giardino della villa Carlotta con quel poderoso masso dolomitico appellato la montagna di Tremezzo o Crocione che si eleva in fondo alla scena… L'albergo Belle Vue spicca giocondamente allo sguardo come una dimora delle fate. Esso forma la delizia degli Inglesi, degli Anglo-Americani e di quanti vengono a soggiornarvi. Ed oggi quella gentile dimora è diventata un monumento, che l'artista eresse a sé stesso col lavoro di molt'anni, e su cui il popolo appose un'iscrizione per lui più eloquente d'ogni altra che la vanità vi incise: Albergo Gianella. Si, quel palagio è un monumento che ricorda un uomo il quale seppe elevarsi colle forze del proprio ingegno e colla perseveranza dei propositi tanto che parve quel grazioso palagio sorgesse per incanto.

Augusto Giacosa nel suo libro Sulle rive del Lario scrive:

"Perché l'Hotel Belle Vue a Cadenabbia è un'istituzione, come Villa d'Este a Cernobbio, come l'Hotel Volta a Como. Per le sue origini, per la sua storia, è qualcosa di più di un albergo, è un monumento che l'artista eresse a sé stesso con il lavoro di molti anni: un artista modesto e geniale che seppe elevarsi colle forze del proprio ingegno e colla perseveranza dei propositi tanto che quel palazzo sembrò sorgere per incanto, un artista che con la sua vita dimostrò come volere possa significare potere: Giuseppe Gianella".